Sottotitolo: una noiosa passeggiata pomeridiana in una noiosa giornata soleggiata di una noiosa cittadina della val padana
Ho già detto che sono annoiata? Beh se non si è capito oggi lo sono. Molto. E da menti annoiate nascono quesiti noiosi. A tutti sarà capitato di porsi almeno più volte nella vita questa domanda. Non per forza la condizione che porta al concepimento di tale acuto quesito è una tranquilla, sonnolenta giornata cittadina. Tuttavia in me questa condizione ha triggerato il suddetto famoso interrogativo. Nel fantastico caso in cui i miei palmi potessero appiccicarsi alle pareti così come succede con Spiderman – o con un più modesto sauro della famiglia dei Fillodattili, più comunemente noto come geco, quanti metri dovrei percorrere perpendicolarmente al terreno, per raggiungere l’antenna di uno di quei due grattacieli che svettano in zona Gad, vicini alla stazione?
Lì per lì quando cercavo di riempire i minuti ed accorciare i passi ponendo a me stessa domande che nessun altro, in quel momento mi avrebbe posto (del resto ero da sola) non mi vennero in mente molti metodi che avrei potuto fin da subito utilizzare, e di questo un po’ me ne vergogno.. ma vabbè diamo la colpa alla noia, al caldo e alla non reale necessita di fornire una precisa stima di questa misura. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di confrontare l’altezza incognita con quella di un altro palazzo a me noto. Impossibile. Così ho provato a contare il numero dei piani, stimando circa $3 \ m$ l’altezza tipica di un piano.
Di metodi di misura delle altezze, in verità, ne esistono diversi. Uno molto semplice e ingegnoso viene attribuito al filoso Talete poiché da egli applicato per misurare l’altezza della Piramide di Cheope. L’idea di Talete è di confrontare l’ombra proiettata a terra dalla struttura con l’ombra proiettata a terra da un metro campione ad esempio quella di un bastone o la nostra stessa ombra.
Di tutti i metodi possibili ne esiste uno per la cui applicazione occorre trovarsi al punto più alto del palazzo. Un metodo veloce che oggi è possibile utilizzare grazie agli studi sulle leggi del moto della caduta di gravi portate avanti dall’eroe nostrano Galileo Galilei.
A tal proposito, premettetemi di introdurre un nuovo sotto-sottototolo, ovvero:
Ogni scusa è buona per parlare di Galilei
Noto a tutti (vero?) come il fondatore della scienza moderna, a Galilei si devono numerosi contributi per quanto concerne l’ambiente scientifico: sue sono le leggi del moto rettilineo, sua è riconosciuta la paternità del telescopio per il quale fu il primo ad osservare direttamente le quattro lune di Giove, sue sono le invenzioni della bilancia idrostatica e del termoscopio. In ambito letterario il suo contributo non è inferiore. Il suo “Dialogo sopra i due massimi sistemi” può essere considerato a tutti gli effetti un capolavoro della nostra lingua.
Come la maggior parte degli eclettici, la sua formazione non è stata univoca fin da subito. Iscritto inizialmente al corso di medicina della università di Pisa, Galileo Galilei fu presto affascinato dalla matematica tanto che riuscì, qualche anno più tardi a presiedere alla cattedra di matematica in quella stessa università. Insegnò lì per tre anni prima di trasferirsi a Padova.
Come non tutti gli eclettici però, ben presto mise in crisi il sistema aristotelico sulle fondamenta del moto, e il sistema tolemaico fondato sull’eliocentrismo, due capisaldi intoccabili per l’epoca.
Durante i suoi viaggi venne presto a contatto con la Sacra Inquisizione che gli impose di non perpetuare le sue lezioni. In risposta, Galilei pubblicò nel 1932 il famoso “Dialogo sopra i due massimi sistemi: tolemaico e copernicano”. Il 1633 fu l’anno della sua abiura, costretto ai domiciliari passò gli ultimi anni della sua vita, i più dolorosi (in cui sopravvennero la cecità e la morte della figlia prediletta, Celeste) ad Arcetri, alla Villa il Gioiello, oggi nota come Villa Galileo, fino alla sua morte nel 1642. Di questi anni è il dipinto ad oggi più noto dello scienziato qui riportato, ad opera del pittore Jules Superman, oggi esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Molte delle leggende su Galileo e i suoi esperimenti le dobbiamo allo scienziato Vincenzo Viviani, il suo discepolo più giovane. Una di queste lo vede con al seguito tutta la scolaresca e altri lettori e filosofi sulla cima della torre di Pisa a lasciar cadere gravi di diversa forma e peso per studiarne le leggi del moto. Veri o meno, nonostante lo scetticismo di molti, i suoi esperimenti furono importanti per la rivoluzione concettuale che ne seguì: posero le basi al suo lascito più importante, il metodo scientifico.
Le leggi del moto di Galilei
Senza approfondire altri aspetti della sua vita, focalizziamoci su quanto necessario per rispondere al quesito iniziale. Partendo dal principio, Galilei fu in grado di dimostrare che un corpo in caduta libera si muove di moto rettilineo uniformemente accelerato. Ci riuscì seguendo la brillante idea di impiegare dei piani inclinati per rallentare la caduta dei gravi, in questo caso delle sfere, e poterne studiare il fenomeno più al dettaglio. Nel limite di pendenza massima il moto è riconducibile in tutto e per tutto alla caduta libera. Così facendo sfidò il preconcetto esistente dovuto ad Aristotele per il quale la velocità di caduta di un corpo è proporzionale alla sua massa. Nasce così la formulazione della legge generale sul moto di caduta libera.
Quindi, accettato che, indipendentemente dal suo peso, qualsiasi oggetto lasciato cadere a terra lo farà con una accelerazione costante e con uno spazio percorso proporzionale al quadrato dei tempi, la legge del moto da egli elaborata si rappresenta in tutta la sua magnificenza, nella formula seguente:
$$x=x_0+v_t+\frac{1}{2} at^2$$
Se la caduta del grave è libera, per cui non impartisco all’oggetto alcuna velocità iniziale, la formula si semplifica in:
$$x-x_0=L=\frac{1}{2}at^2$$
L’unica deviazione da tale comportamento si ha per la presenza di attrito tra il grave e l’aria attraverso cui si muove. Tanto più questo effetto è trascurabile, tanto più ci si avvicina al caso di cui sopra. Nei problemi quotidiani non è necessario considerarne l’attrito ma se fossimo degli ingegneri che si occupano di aerodinamica allora esso non è più trascurabile.
Si tutto molto bello, ma davvero.. quanto è alto quel palazzo?
Diamoci una mossa prima che il gelato in mano si sciolga.
Ad occhio riesco a contare 20 piani, con una stima di $3 \ m$ per piano arriviamo a $60 \ m$. A questi dovremmo aggiungere il contributo di pavimenti e soffitti, facciamo $1 \ m$ a piano, per un totale di $20 \ m$ in più. Consideriamo, inoltre, l’altezza della parte finale del grattacielo, possiamo aggirarci tranquillamente sui $90 \ m$. Questo trova corrispondenza con quanto si legge online cercando informazioni sull’edificio. Procedendo a ritroso, visto che di andare su quel palazzo proprio non ne ho voglia (potrebbe persino essere illegale) possiamo ricavare i secondi teorici di caduta di un masso dall’altezza massima del palazzo, per cui:
$$90 m =\frac{1}{2} \cdot (9.81 \frac{m}{s^2}) \cdot t^2$$
$$\Rightarrow t = \sqrt{\frac{2 \cdot 90 m}{9.81 \frac{m}{s^2}}}\sim 4.28 s$$
Se mi trovassi lassù, sarebbe solo grazie a Galilei se riuscissi a dare significato a questo particolare intervallo temporale.